L’evidenza di un legame fra dieta e cancro deriva da studi epidemiologici (ovvero condotti su popolazioni) e su animali.
Pare che circa il 35% delle morti per cancro possano essere correlate a fattori alimentari.
Mancano a tutt'oggi evidenze conclusive sul fatto che uno specifico nutriente o alimento possa causare o prevenire il cancro nell'uomo, nondimeno è stato possibile identificare linee guida per ridurre il rischio di cancro:
mantenere un peso corporeo contenuto;
alimentarsi con una dieta varia;
includere una notevole varietà di frutta e verdura nella dieta quotidiana;
consumare una maggior quantità di cibi ricchi in fibre;
apporto totale dei grassi al 30% della quota calorica giornaliera;
limitare il consumo degli alcolici;
limitare il consumo di cibi sotto sale o conservati con nitriti (dietologia, il manuale della Mayo clinic).
L'esistenza di una relazione causale tra elevati livelli di colesterolo sierico e malattia cardiovascolare aterosclerotica, prospettata più di un secolo fa da Virchow, ha avuto conferme inequivocabili con i grossi studi di intervento con statine. Poiché inoltre i livelli di colesterolo sono modificabili per via alimentare, ecco apparire la possibilità di una diretta correlazione tra alimentazione e sviluppo di aterosclerosi.
Studi epidemiologici eseguiti nei primi anni '60 hanno mostrato basse incidenze di cardiopatia ischemica e un'aspettativa di vita tra le più lunghe al mondo in paesi intorno al bacino del mediterraneo.
Da queste osservazioni, prese avvio il programma di ricerche internazionali del Seven Countries Study, studio cooperativo sull'epidemiologia della malattia vascolare aterosclerotica. Furono studiati 12.770 uomini, di età compresa tra 40 e 59 anni, ln Finlandia, Grecia, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Stati Uniti e Jugoslavia. Dopo 5 anni di osservazione, furono rilevate grandi differenze nell'incidenza di malattia vascolare aterosclerotica, con l'estremo più alto ritrovato in Finlandia e quello più basso in Grecia e in Giappone.
Un’analisi dei fattori di rischio mostrò che fumo, sedentarietà e peso corporeo non potevano spiegare le differenze tra i gruppi, mentre ipertensione, colesterolo plasmatico e calorie giornaliere prodotte dall'assunzione di grassi saturi le spiegavano in maniera convincente.
Venne anche riscontrata una correlazione inversa tra incidenza di cardiopatia ischemica e percentuale calorica derivante dall'assunzione di acidi grassi monoinsaturi.
Per la prima volta venivano indicati come particolarmente salutari regimi dietetici semplici, come quelli in uso in Giappone e nel bacino del Mediterraneo.
Per quanto riguarda il diabete mellito, vanno distinti il diabete insulino-dipendente, che insorge di solito in soggetti giovani, di età inferiore ai 40 anni, ed è secondario a un deficit grave di produzione di insulina da parte del pancreas, e il diabete insulino-indipendente (o diabete florido o senile) che rappresenta l'85-90% dei casi e si sviluppa in soggetti di età media, in sovrappeso, con capacità conservata di secrezione insulinica da parte del pancreas. Questi soggetti tendono a migliorare con una dieta ipocalorica e con il calo ponderale.
Il diabete mellito e l'insulino-resistenza non solo rappresentano un importante fattore di rischio coronario, ma costituiscono un processo patologico che coinvolge in modo elettivo il sistema cardiovascolare.
Nei diabetici la malattia cardiovascolare è responsabile del 70% della mortalità totale e la cardiopatia ischemica ne è la causa più frequente.
Il rischio di andare incontro a infarto miocardico di un diabetico è uguale al rischio di chi già ha avuto l'infarto ed è fra 2 e 4 volte superiore a quello della popolazione normale.
Per questi motivi le recenti carte del rischio, considerato come rischio cardio vascolare globale, riservano una particolare considerazione alla malattia diabetica.
Fonte: Fitness Cardiometabolico: Il Manuale – Ed. Calzetti e Mariucci
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